Svegliatevi trentenni, smettetela d'essere così ubbidienti! Così scriveva Oriana Fallaci quarant'anni fa: una citazione dal libro «Se il sole muore»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 25 Dic 2010 in Approfondimenti

A trentasei anni, nel 1965, Oriana Fallaci era già quasi all'apice della sua carriera. Faceva la giornalista, inviata speciale del blasonato Europeo, aveva pubblicato quattro libri. Due anni dopo sarebbe partita per il Vietnam, traendo da quell'esperienza il materiale per uno dei suoi bestseller più famosi, Niente e così sia. Il Sessantotto era ancora di là da venire eppure lei era già uno spirito libero, anticonvenzionale. Quasi impossibile riconoscere in questa pre-femminista sempre pronta a demolire le frasi fatte e le generalizzazioni la persona conservatrice e intollerante che dopo l'attacco alle Torri gemelle, con la sua penna sempre magica, diede forma alle paure più retrive del diverso attraverso i pamphlet La rabbia e l'orgoglio, La forza della ragione e Oriana Fallaci intervista sé stessa.
Ma sarebbe ingiusto limitare il ricordo della Fallaci a quel ha scritto dai settant'anni in poi e fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2006. La Repubblica degli Stagisti vuole rispolverare una pagina della grande giornalista e pensatrice che la Fallaci fu in gioventù, sfrontata e irriverente: in queste righe, tratte dal libro Se il sole muore che ripercorre il suo reportage sui preparativi della Nasa per il viaggio verso la Luna, si rivolge agli astronauti  trentenni che ha appena conosciuto e intervistato, esortandoli a godere appieno della propria età e a non aver paura di osare. Un incoraggiamento che, a più di quarant'anni di distanza, può essere prezioso per tutti i trentenni di oggi - specialmente in Italia.

«Io mi diverto ad avere trent'anni, io me li bevo come un liquore i trent'anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono stupendi i trent'anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l'angoscia dell'attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent'anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c'è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell'olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent'anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po' ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna: e allora com'è che in voi non è così? Com'è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v'hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui. Svegliatevi dunque, smettetela d'essere così razionali, ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete, sbagliate. Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro. Ve lo dico con umilità, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto: non così poco. O è ormai troppo tardi? O il Sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev'esser così».

[Da Se il sole muore, Rizzoli 1965. Edizione Bur 1989, pagg. 388-389]

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